lunedì 11 marzo 2019



IL PANE

Era il 1940 e in quel periodo l’Albania era sotto l’occupazione italiana.
L’occupazione italiana del Regno di Albania ebbe luogo tra il 1939 e il 1943, quando la corona del Regno Albanese fu assunta da Vittorio Emanuele III d'Italia, a seguito della guerra promossa dal regime fascista e dell'instaurazione del Protettorato Italiano del Regno d'Albania.
Mio padre insieme alle due sorelle e al fratello viveva a Korca in una strada che oramai è situata nel centro storico della città (ma all’epoca era considerata periferia).
In loro compagnia viveva anche lo zio e quindi il fratello di mio nonno. Un giovane di 20 anni con idee fortemente democratiche che frequentava il liceo francese. Esso era un istituto molto noto della nostra città che collegava Korca a Parigi.
Viveva in quella casa anche la zia di mio padre, che passava giorni e notti a leggere tutti i romanzi e i giornali che le passavano tra le mani. Mia nonna paterna Kristina era quella che si occupava di amministrare la famiglia mentre mio nonno Vasil mandava avanti un piccolo laboratorio di pasticceria.
Il bisnonno Peci (Petraq), tornato dall’America, aveva comprato il terreno per costruire la casa mentre la bisnonna Pina (Dhespina) aveva per anni contribuito a crescere ed educare i figli anche da sola con il marito in un altro continente molto difficile da raggiungere in quei tempi. Ognuno nel suo piccolo faceva qualcosa. Davano una mano anche i più piccoli. Tra un bombardamento ed un altro si giocava, si mangiava e quando si poteva si scherzava. I bambini davano allegria alla famiglia. Giocavano con Balo, il loro grande amico nonché cane fedele della casa.
Com’ è noto, in quegli anni c’era una grande carestia ed era difficile trovare il pane. Un pezzo di pane era prezioso come l’oro che le famiglie stavano dando via in cambio di un po’ di grano. Si mangiava la mattina quando era disponibile cosi da poter dar forza alle persone di lavorare. La sera, diceva mio padre, veniva  sempre preparata una zuppa di verdure di stagione. Potevi avere un mestolo solo.
Si intrecciavano in quella casa agricoltura e cultura. Non rimaneva niente da parte oltre la stanchezza ma riuscivano a sopravvivere in un tempo in cui già questo era abbastanza.
Ci furono alcuni giorni particolarmente difficili. Il pane mancava da tanto e a malapena si ricordavano l’ultimo pasto decente consumato. La tristezza invadeva il volto di mio nonno dal carattere molto sensibile mentre mia nonna Kristina cercava di dare coraggio tenendo sempre tutti impegnati in vari servizi per cercare di far dimenticare la fame, almeno provvisoriamente.
Proprio uno di questi giorni mio nonno stava esponendo sulla vetrina della pasticceria un vassoio pieno di llokume, un particolare dolce albanese ma di tradizione originaria turca fatto di zucchero e gelatina. Tanta gente si affacciava ma tutti erano in grandi difficoltà economiche. Mio nonno regalava qualcosa cercando di sfuggire allo sguardo severo della nonna, la vera contabile dell’economia domestica. All’improvviso in negozio entrarono due fascisti che chiesero il prezzo dei dolci. Mio nonno rispose loro, e questi ultimi, a loro volta, proposero uno scambio: il vassoio di dolci e 4 monete di oro in cambio di due pagnotte di pane bianco. Mia nonna disse subito di no mentre mio nonno un po’ s’illuminò in viso. I suoi figli quella sera avrebbero potuto cenare con qualcosa che andasse oltre la solita zuppa di spinaci. Chiese loro di aspettare un attimo. Andarono in cucina dove i bambini avevano smesso di giocare, non litigavano e non facevano i servizi imposti dalla madre ma sognavano di mangiare a occhi aperti.
“Questa è una grande opportunità. Vedi come stanno male? Non mi interessa avere oro in casa se i miei figli restano affamati. Che razza di genitore sono? “
Mia nonna lo guardò rassegnata ma le diede solo due monete d’ oro. Tornarono in negozio. I due militari fascisti avevano già finito di mangiare metà dei dolci e ridevano contenti. Mio nonno fece presente loro che avrebbe accettato l’offerta e che in quel momento però disponeva solo due monete di oro. Per questo motivo, se i militari non avessero accettato non si sarebbe potuto fare niente. Loro contenti cominciarono ridere e a dire che per questa volta potevano chiudere un occhio. Ed è arrivato il momento di far vedere il pane. Questo alimento così pregiato all’epoca che nemmeno i tartufi moderni lo superano in valore.
“Lo vuoi adesso?”  “Noooo” risposerò i fascisti. “ Non possiamo tenerlo con noi. Ce l’abbiamo nascosto in deposito. Mandaci i tuoi figli con noi e lo daremo a loro”
Mio nonno chiamò mio padre e mio zio Jovan e donò loro le due monetine d’ oro raccomandandosi di andare con i signori e di portare il pane dritto a casa. Era solito all’epoca mandare i figli a fare certi servizi. Mio padre e mio zio, felicissimi, obbedirono.
Passarono strade su strade e colline su colline e alla fine si fermarono. “Adesso datemi i soldi e aspettateci qui. Il deposito e segreto” Disse uno di loro a mio zio, che da fratello maggiore teneva i soldini stetti stretti nella sua piccola mano.
I bambini ubbidirono. Passarono minuti e ore intere. Aspettavano in collina con gli occhi pieni di lacrime ma da piccoli uomini che erano non si permettevano di piangere. Si fecero tante partite di calcio con il pallone di stracci che tenevano sempre appresso ma nessuno ancora arrivava. I segnali della fame cominciarono a diventare troppo forti e quindi decisero di tornare a casa.
Appena arrivati vicino alla strada di casa un intero vicinato aspettava loro fuori dalle porte. Avevano sentito tutti che i figli di Vasil erano andati a comprare pane dai fascisti. Qualcuno augurava il bene, qualcun altro il male e qualcun altro ancora sperava in qualche pezzo.
Mia nonna, felice di vederli sani, sebbene a mani vuote, li abbracciò e portò in casa.
Vicino al camino gustarono il solito piatto di una zuppa, mai così buona prima, e successivamente caddero in un sonno profondo.

Kristina Blushi
in foto (Meri, Jovan, Sotiraq e Lirika Blushi)